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Pensare con le dieci dita – Personale di Silvia Angelotti

Posted on Set 23, 2015 in Mostre, Tutte le attività

“Penser avec ses dix doigts”

Andrè Leroi-Gourhan

Inaugurazione: mercoledì 14 ottobre 2015 ore 18,00
Finissage: sabato 24/10/2015 ore 15,30
Mostra: dal 15 ottobre 2015 al 24 ottobre 2015

Orario: dalle 10,30 alle 13,30 e dalle 15,00 alle 18,00

a cura di Roberto Casiraghi

introduzione di Alberto Pellegatta

 

Sculture di Silvia Angelotti

 

«Bocca di balena dai centomila denti d’oro / per ingoiare stanotte la terra, / io sono un pescatore di anguille sulla barca / per lasciarle poi libere ondulare / nella corrente del fiume sino al mare. // Bocca di balena dai centomila denti d’oro / il tuo occhio di luna m’ha seguito quando scesi / a sciogliere la barca questa sera / dalla riva e abbandonarmi alla corrente / della vita notturna e poi solare»: le sculture di Silvia Angelotti richiamano il bestiario incantato di Umberto Bellintani – un libro uscito, proprio come questi nuovi lavori, dopo un lungo silenzio finalmente interrotto. Elementi inediti, stralunati e potenti, turbano le scene di questo teatro naturale e onirico, tra animaletti esotici, enigmi depistanti e personaggi umili e insieme maestosi, in una spinta verso l’origine espressiva.

Dopo lo studio della scultura a Delft in Olanda e all’Accademia di Belle Arti di Roma, insieme all’affresco e con una tesi su Brancusi, dopo i Tableaux poèmes degli anni Sessanta e le mostre presso la storica galleria romana de «Il Segno», la «Calcografia Nazionale» e la galleria milanese «Bon à tirer» di Giorgio Cardazzo – ma soprattutto dopo una lunga assenza dalla scena espositiva, dovuta a un’intensa attività grafica (per esempio con le strisce satiriche su «Linus» ecc.), Silvia Angelotti torna a mostrare il proprio lavoro con le figure vivificate e fantastiche che propone l’«Atelier Cartesio» inaugurando la stagione autunnale. Opere di una lirica leggerezza trasognata, ma anche frontali e inquiete. In queste edicole (un po’ preghiere, un po’ bestemmie) si nota tutto il piacere e l’allegria della creazione, tra bestiole fantastiche e torsioni vegetali – raffinate utopie di carta.

A partire dall’Accademia di Ripetta, Silvia Angelotti ha frequentato artisti come Toti Scialoja, la Scuola di Piazza del Popolo, il Gruppo 63, la musica dell’Accademia Filarmonica di Roma, e Nanni Cagnone. Il suo percorso, complesso e personale, è approdato a questi racconti affollati di petali e verdura, opere cariche di rimandi letterari – per esempio a Henry James e a Il carteggio Aspern – e riflessioni sui grandi temi dell’esistenza: dal tempo all’ecologia, dal viaggio alla mitologia. Nei suoi lavori recenti, all’imprinting della ricerca romana, si è aggiunta una visionarietà drammatica, una sottotraccia lombarda fatta di case di ringhiera e dettagli minimi. Come non pensare, infatti, al Sereni di Stella variabile, piuttosto che alle neoavanguardie: «L’ombra si librava appena sotto l’onda: / bellissima, una razza, viola nel turchino / sventolante lobi come ali. / Trafitta boccheggiava in pallori…. A quegli esperti avrei voluto dire delle altre ombre e colori / di certi attimi in noi, di come ci attraversano nel sonno / per sprofondare in altri sonni senza tempo, / per quali secche e fondali tra riaccensioni e amnesie, / di quanti vi spende anni l’occhio intento / all’attraversamento e allo sprofondo prima che aggallino / freddati nel nome che non è / la cosa ma la imita soltanto».

Alberto Pellegatta

Per Silvia Angelotti

Non si pensa quasi mai al ritmo della solitudine, a sue precipitose esitazioni. Le cose che ami ancora, attentamente dovrai rimpiangerle, poi che le ha corrose il tempo, sfigurate. Dovrai trovare un luogo inesistente in cui riporle con cura. Un concavo altrove che somigli al vagheggiato corpo d’una casa. Non si tratta d’adunare ricordi, bensì di temerne vivo il sentimento.

Si manifesta aspramente, la vita: folgori fuori e dentro la casa del tempo, o – con maggior spavento – la divorante attitudine di Khrónos, colui che più d’ogni altro inghiotte poi vomita. È proprio il vomito quel che si teme, perché ciò che il tempo sembrava aver inghiottito, e noi dimenticato, fa ritorno, lo si deve altra volta vedere.

Perché evocare The Aspern Papers? Per affezione letteraria o piuttosto perché a convincere fu la delusione (infine, invece del carteggio, un miniature portrait di Jeffrey Aspern)?

Qui, legato per sempre ogni volo, e quando alto finalmente un sole, non è che l’autore della morte d’Icaro.

Sai, le Chansons madécasses non durano più d’un quarto d’ora; poi via di qui, nella tregua del sottobosco, ove oscuro imperterrito fermento.

Queste opere di Silvia Angelotti non sono i timidi, rassegnati sorrisi d’una signora vittoriana, ma gravi smarrimenti, lente trafitture, dissimulate malinconie.

Opere lavorate con materiali ordinari – cartapesta, fil di ferro, raccolte cianfrusaglie –, affinché si sappia che quotidiane le catastrofi, e non perdono un minuto.

Opere della pazienza delle mani, stanchezza ed elogio d’un giorno qualunque, veritiero.

Nanni Cagnone

 

Tra le mani

Da veli di carta colorata, stratificando le proprie emozionate memorie,

le mani di Silvia, con intelligenza emotiva, tessono presenze possedute dalla brezza dell’incantesimo.

Manufatti dove la leggerezza dei fogli muta la sua fragile bidimensionalità

in rilevante sostanza di modelli sperati e lucidamente attesi.

La capacità di narrare in atto unico le tenere e feroci, eterne ragioni della fantasia,

donando a chi le guarda la ineluttabile consistenza dell’aria.

 

Roberto Casiraghi